
Chiunque ha visto questa fotografia di Primo Levi scattata da Mario Monge nel giugno del 1986 ha avuto un sussulto. Impressiona. Sembra che indossi una maschera, anche se in realtà non si tratta di una maschera. Come la farfalla appesa sopra la sua testa, è invece una scultura realizzata con il filo di rame. Il materiale lo ricavava dalla Siva, l’azienda chimica dove ha lavorato dal 1947 al 1975. Si trattava di scarti della produzione. Alla Siva si realizzavano vernici per ricoprire i cavi. Le sculture ritraggono per lo più animali: coccodrillo, canguro, formica, civetta, farfalla, camaleonte, gabbiano, pinguino, insetti e altre creature. Philip Roth, venuto a trovarlo a Torino, a casa sua, aveva notato questi animali misteriosi e gli era sembrato anche di distinguere “un ebreo che suonava il suo naso”. Possibile. I destinatari di questa attività sono stati prima di tutto gli amici e i parenti, cui le regalava, e nelle cui case mi è capitato di vederli nel corso degli anni. Gli animali sono uno dei temi ricorretti della sua narrativa e della poesia: citati, analizzati, raccontati. Ci sono tantissimi animali nelle pagine di Levi.
Era una passione giovanile, che si è protratta nel tempo, perché la prima vocazione del giovane studente torinese era stata per la biologia; poi, più avanti negli anni, si era interessato di etologia leggendo Konrad Lorenz. Gli animali hanno un valore naturalistico, ma sono anche metafore potenti della relazione degli uomini tra loro. In una pagina memorabile di Se questo è un uomo, parla dell’animale-uomo, quello che è rinchiuso nel Lager e su cui si esercita l’esperimento biologico-sociale dei nazisti. Quello che colpisce in questa immagine è ovviamente il travestimento. La scultura è tridimensionale, ma diventa bidimensionale e ricopre il viso dello scrittore. Gli occhi dell’animale non sono perfettamente allineati con gli occhi di Levi e questo crea un leggero spaesamento, suggerisce un senso di inquietudine. Ma è anche la postura che colpisce, per via delle sue braccia sollevate. Infine, la maschera è “trasparente”: si sovrappone al volto di Levi, lo nasconde e al tempo stesso lo mostra.
Il gufo è una figura abituale per lo scrittore. In più di un’occasione ha detto: il gufo sono io. Sulla copertina della prima edizione di L’altrui mestiere figurano tre disegni del gufo realizzati da Levi con il suo Mac, uno sotto l’altro. Monge ha fatto vari scatti con questa scultura; ne esiste uno in cui Levi tiene in mano la “maschera”, a fianco di sé, e non la “indossa”, come qui. Il gufo è un animale simbolico che assume vari significati nelle diverse culture. Prevale spesso quello negativo, che lo collega a qualcosa di funesto, alla malasorte, come in Shakespeare o presso gli antichi romani. Ma è anche il simbolo collegato ad Atena glaucopide, la Nottola di Minerva, simbolo della filosofia e della saggezza. Penso che sia a questo significato che si riferisca indirettamente Levi, quando dice: sono io. A partire da Auschwitz, non gli è mai mancato l’aspetto di preveggenza che appartiene a questo animale notturno; è la sua capacità di anticipare i temi che saranno dopo poco al centro dell’attenzione; la capacità d’indicare le questioni centrali della sua e della nostra epoca.
È stato così anche con il disastro della centrale nucleare di Chernobyl, su cui ha scritto un importante articolo sul pericolo che la scienza rappresenta per gli uomini. Che Levi avesse poi un aspetto artistico nella sua personalità a dirlo è stato tra i primi Philip Roth nel corso della sua visita torinese. Ha scritto: “Di tutti gli artisti intellettualmente dotati del XX secolo – e l’unicità di Levi consiste nell’essere più il chimico artista che lo scrittore chimico – lui è probabilmente quello che si è più adattato all’ambiente circostante in tutti i suoi aspetti”. Cosa significa essere “chimico artista”? Non è facile dirlo. Certamente lo scrittore americano coglie nel segno quando indica questa valenza artistica e la collega all’aspetto intellettuale di Levi. Si può desumere che è un artista da queste sculture? Probabilmente no. Un dilettante? Probabilmente sì, e tuttavia, come aveva visto Roth, la sua capacità artistica va ben al di là di questa attività col filo di rame e anche al di là dello scrivere stesso. C’è infatti qualcosa di artistico nel suo sapersi adattare all’ambiente circostante, a partire da Auschwitz. Sopravvivere è un fatto artistico.
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